Secondo la mitologia greca, Pigmalione era il re di Cipro ed era molto infelice perché dopo tante avventure non aveva mai realizzato il suo sogno di trovare “la donna giusta” per lui. Stanco di questa situazione, decise di scolpire la statua della sua “donna ideale” e lavorò finchè il suo “modello perfetto” non fu terminato. La statua era bellissima e lui se ne innamorò subito. Dopo un po’ di tempo però non gli era più sufficiente contemplarla e così cominciò a pensare a quanto sarebbe stato bello se la sua donna statuaria avesse preso vita diventando una vera compagna per lui, finchè questo desiderio divenne così forte da aumentare la sua infelicità. La sua sofferenza commosse Afrodite, che decise di trasformare la statua in una donna piena di vita. Pigmalione si trovò così a vedere il suo sogno materializzato. Il mito termina, così, con il matrimonio di Pigmalione con Galatea, il nome della statua.
Pigmalione è un “archetipo” molto comune anche ai giorni nostri, per cui è interessante comprendere a fondo questo mito per capirne le dinamiche psicologiche sottostanti. Egli è triste perché non riesce a trovare la “donna giusta” per lui e ritiene che la vita sia ingrata e non gli dia questa opportunità; questo gli arreca una situazione di scontentezza nostalgica per qualcosa che appartiene ai suoi sogni, ma che non è presente nella realtà. Il mito rispecchia, dunque, uno schema psicologico preciso in azione: quello dell’amore idealizzato e che, proprio perché non appartiene al mondo reale, non può essere trovato, ma, soprattutto, non può essere vissuto.
Dietro al mito del “partner giusto” si nasconde l’idea di avere qualcosa che possa essere “su misura per sé” e questo non è mai possibile, in quanto chi si identifica in quest’idea parte dal presupposto che l’altro debba essere lì per una completa gratificazione: non esiste in quanto “persona indipendente”, ma come musa, soggetto che ispira e che si pensa possa ridare la vita interna, quella da cui si è scollegati. In questo amore ideale il partner dovrebbe adattarsi all’altro, senza costruire con lui una vera relazione, che comporti uno scambio ed una negoziazione tra due persone, non ci sono due identità diverse che devono trovare punti in comune. L’amore idealizzato serve a portare ad un’accentuazione dell’Io che, da solo sembra non esistere e perdersi, per cui ha bisogno di uno specchio in cui vedere la propria luce, di una persona su cui proiettare i propri ideali. L’amore viene visto, quindi, come l’unica cosa che consente una realizzazione personale e non come un incontro con l’altro.
In genere in queste persone si riscontra un’ incapacità di relazionarsi che porta a cercare situazioni impossibili che poi non possano realizzarsi, scongiurando, così, un eventuale impegno. Sono persone che “fuggono da sé stesse” e che trovano poi sempre dei “fuggitivi”. La statua incarnata appartiene alla sfera dell’ideale e dell’amore platonico che rimane fantastico proprio perché non ha legami con il mondo reale e con la quotidianità. Queste persone sono innamorate dell’amore e non certo dell’altro, cercano ancora se stesse e per questo non riescono ad incontrare partners. Pigmalione non conosce e non ama nessuna donna; cerca un amore ideale, romantico, che fa sognare ed emozionare e che ha lo scopo di risvegliare la sua anima.
Pigmalione, viste le sue difficoltà, decide di scolpire una statua che incarni la sua donna ideale. Quanti di noi non hanno mai desiderato una cosa del genere, o pensato “quanto sarebbe bello se lui o lei fosse diverso”? Chi non ha accarezzato l’idea che si potrebbe essere felici solamente se fosse l’altro a cambiare, se fosse più gentile, più innamorato, ecc.?(in questi soggetti vi è sempre un “se” che pone un’ impossibilità). Questa modalità di pensiero sfiora tutti nelle prime fasi della vita, ma crescendo si impara che è un’ illusione, in quanto l’amore e la felicità sono stati dell’anima che non dipendono dall’esterno, ma da noi stessi. Alcuni soggetti restano, invece, imprigionati in questo modo di pensare e, così, cercano a lungo di modellare i propri compagni, tentando di modificarli e di “costruirli” con le caratteristiche che hanno nella mente. Questo è un atteggiamento infantile e molto sconfortante poiché indica che il partner non esiste come “soggetto-individuo” e che non lo si vuole affatto “come è”, ma come lo si immagina, possibilmente senza una identità precisa in modo che possa assumere senza troppa difficoltà la “forma” desiderata. Il mito di Pigmalione è molto triste in quanto tratta di un soggetto che non ha ancora preso in considerazione l’Altro da sé e che non accetta neppure la sua diversità; è ancora così concentrato su sé stesso e sulla proiezione dei suoi ideali da volere fabbricare una sua creazione personale, qualcosa che l’altro non potrà mai essere se non annullandosi totalmente, il che lo porterebbe comunque a non piacere, in quanto l’essenza del “piacere e dell’amore” deve partire dall’avere una identità, dall’Essere.
Pigmalione è l’immagine di un individuo egocentrico, che non sa neppure da che parte cominciare ad “amare”, convinto che l’altro debba gratificare ed essere “come lo si vuole” e non “come è”. Per lui l’altro è una proiezione di sé, dei suoi desideri e, soprattutto deve “sanare il vuoto” e risolvere la ferita narcisistica iniziale procurata da un’assenza che genera quel continuo bisogno di riempire la cronica mancanza di relazione con la propria anima. Egli pensa che l’amore sia “prendere” piuttosto che “scambiare”.
Il momento in cui la statua prende vita è la parte più triste del mito in quanto indica quello che succede quanto ci si culla nell’illusione che l’altro cambierà e diventerà esattamente ciò che si vuole. La statua di Pigmalione statua diventa una compagna senza identità e, di conseguenza, senza sentimenti e senza una volontà personale. Lui dà vita alla sua creazione psichica il che esclude qualsiasi accettazione dell’altro, ma vuole la pura proiezione delle proprie aspettative e dei propri desideri. Il mito termina al momento delle nozze con la grande illusione di felicità che lui coltiva nel suo animo immaturo e triste e non ci dice che, purtroppo, queste relazioni finiscono prestissimo, in quanto vi è sempre una grandissima “delusione” che riporta nuovamente e necessariamente al vuoto originario interno, che non potrà mai essere compensato se non entrando veramente in relazione con l’altra parte di sé, affrontando i propri buchi neri e riducendo le aspettative che, altrimenti, portano a vedere l’altro solamente come “colui che delude in quanto non nutre e non risana le ferite”.
Quando l’amore è autentico può condurre l’individuo in una dimensione più adulta e in una reale capacità di uscire dalla proiezione, restituendo una dignità all’altro che, a quel punto, proprio perché può esprimere completamente la sua personalità, potrà aiutarlo a dialogare con quella parte di sé che è ancora alla ricerca di completezza.